FabLab, an interesting and controversial humanitarian project born in the Afghan mountains and financed by the American government, raises questions on the exploitation of scientific research


Le maglie sottili della rete

FabLab, un progetto umanitario interessante e controverso nato tra le montagne afgane e finanziato dal governo americano, solleva il tema della strumentalizzazione della ricerca scientifica

Back in 2000, hackers around the world started using tubes of Pringles potato chips (at least, those parts of the world that had access to Pringles, thanks to large multinationals) to make waveguide antennas (“cantennas”) that pick up parts of the electromagnetic spectrum which are outside the control of private license or government regulations. In other words, they exploited Pringles-tube antennas to provide an alternative means of access to the Internet. As one example of its potential, a few years ago “computer pirates” employed this method in Sao Paulo, Brazil, to wipe their colleagues’ personal details from police archives after they had been arrested for poking their noses into computer data that did not concern them.

This is just one of many examples of diy Internet access, and such underground experimentation is attracting increasing attention from politicians and high science. The National Science Foundation (nsf) is one institution that has shown particular interest in the potential of developing informal means of access to the Web. A federal agency of the us Congress, the nsf funds 20 per cent of the scientific research conducted in American colleges and universities. Since it was formed in the 1950s, its mission has been to preserve the United States’ leadership in scientific progress by backing pioneers who might discover new frontiers of knowledge (www.nsf.gov).

In 2009 the nsf financed FabLab, a research group affiliated to mit (fab.cba.mit.edu), to set up a FabFi network in Jalalabad, Afghanistan. FabFi is a radiowave transmission and reception system that can create alternative and reliable communication networks even in adverse environmental (and geopolitical) conditions (fabfi.fabfolk.com/ techsummary). The idea behind FabLab is to develop low-cost communication tools from locally sourced materials and provide an alternative Internet- access system to communities that are politically or geographically isolated. FabLab’s latest mission is to promote a literacy programme that furthers the local development of social and technological capital www.fablab.af). In an article on FabFi published in the New York Times (www.nytimes.com/2011/06/12/ world/12internet.html), James Glanz and John Markoff ponder what may lie behind the project. Humanitarian arguments on empowering deprived communities give the us government an excuse to provide communication tools and Internet access to insurgent groups in Afghanistan’s notoriously impervious mountains, helping them to oppose the Taleban and support the arduous mission of constructing/exporting democracy FabLab responded (freerangeinternational.com/ blog/?p=1100) by posting costs and expenses and, among other things, measuring the project’s success by the fact that many of the Afghan participants, who were students when FabFi was first set up, are now independent technological entrepreneurs and often consultants, paid handsomely by ISAF forces. We all know that scientific research is never innocent—and can it even afford to be during a recession? The truth (probably) lies somewhere in the middle.

C’era una volta il tubo delle patatine Pringles che, sin dall’inizio degli anni Duemila, è stato usato dagli hacker in giro per il mondo (o per lo meno in quelle parti del mondo dove le grandi multinazionali avevano reso le Pringles accessibili) per creare antenne a guida d’onda che occupano porzioni di spettro elettromagnetico non controllate da licenze private o regolamentazioni governative. In altre parole, le antenne costruite con i tubi delle Pringles hanno consentito un accesso alternativo a internet che, fra i vari usi possibili, i ‘pirati informatici’ hanno utilizzato qualche anno fa a San Paolo, in Brasile, per cancellare dagli archivi della polizia le generalità dei loro ‘colleghi’, arrestati per aver ficcato il naso in dati informatici che non li riguardavano. Questo è solo uno dei molti esempi di accesso a internet fai-da-te. La politica e le alte scienze osservano questo tipo di sperimentazioni dal basso con crescente attenzione. Tra le istituzioni che hanno dimostrato particolare interesse nelle potenzialità dello sviluppo di modalità informali di accesso alla rete c’è la National Science Foundation (nsf). nsf è l’agenzia federale del Congresso degli Stati Uniti che finanzia il 20% della ricerca scientifica sviluppata in college e università americane e che, dalla sua nascita negli anni Cinquanta, ha la missione di preservare la leadership degli Stati Uniti nel campo dell’avanzamento delle scienze sostenendo pionieri capaci di scoprire nuove frontiere della conoscenza (www.nsf.gov).

Nel 2009, la nsf ha finanziato FabLab, un gruppo di ricerca affiliato al mit (fab.cba.mit.edu), per l’implementazione di una rete di FabFi a Jalalabad, in Afghanistan. FabFi è un sistema di trasmissione e ricezione di onde radio che permette la creazione di reti di comunicazione alternative e affidabili anche in condizioni ambientali (e geopolitiche) avverse (fabfi.fabfolk.com/techsummary). L’idea di FabLab è quella di sviluppare strumenti a basso costo realizzati con materiali disponibili localmente e permettere un sistema di accesso al web alternativo a comunità isolate per ragioni politiche o geografiche. La missione ultima del laboratorio è quella di promuovere un percorso di alfabetizzazione che permetta lo sviluppo a livello locale di capitale sociale e tecnologico (www.fablab.af). In una recensione sul FabFi apparsa sul New York Times (www.nytimes.com/2011/06/12/world/ 12internet.html), James Glanz e John Markoff riflettono sulla possibile dietrologia del progetto: le ragioni umanitarie di empowerment di comunità svantaggiate forniscono un lasciapassare al governo americano per offrire strumenti di comunicazione e accesso a internet a gruppi insorgenti che, dalle famose montagne impervie dell’Afghanistan, si oppongono ai talebani in sostegno alla faticosa missione di costruzione/ esportazione della democrazia. FabLab risponde (freerangeinternational.com/blog/?p=1100) mostrando cifre e bilanci finanziari e misurando, fra l’altro, il successo del progetto con il fatto che molti dei partecipanti afghani, studenti al tempo della prima implementazione del FabFi, sono adesso imprenditori tecnologici autonomi e spesso consulenti ben pagati delle forze ISAF.

La ricerca scientifica, si sa, non è mai ingenua. Può forse permetterselo ai tempi della crisi? E la verità della polemica (probabilmente) si trova nel mezzo.